lunedì 9 maggio 2011

3

qualcuno li chiamerebbe i demoni della notte (quasipoema in prosa)

restare immobili fissando il soffitto o qualche punto dello spazio, nelle ore dei contorcimenti, in cui tutto è troppo caldo, troppo freddo e gli occhi si spalancano invece di chiudersi.
evitare i ragionamenti che si fanno a quest'ora, in questo stato. la mente che si appanna, si avvita su un'unica idea sezionandola, vaga frammentandosi in osservazioni estemporanee.
o come minimo riuscire a tenerli rinchiusi.
non. comunicare. nessuno. con. 
orari inventati ideati apposta per discorsi esaltati, risate isteriche, col vento che spazza ogni cosa fuori dalla plasica della baracca; dentro, in una pozza di luce, si srotolano volute di fumo.
il tempo fa dei movimenti strani. all'inizio immobile, verso le due comincia a correre, mentre il polso accelera con il desiderio di fare qualunque cosa tranne sdraiarsi fermarsi riposare.
ricordi cose dimenticate da tempo - giungono illuminazioni insensate da quelle aree del tuo cervello che la veglia sta spremendo - prendono piede progetti in larga parte irrealizzabili ora e qui, mettersi a tagliare bottiglie vuote sembrerebbe un po' un casino con tutta quella gente che dorme là fuori, distante un soffio.
il giorno avanza verso di te come un treno e sei inchiodato alle rotaie, capace solo di contare e ricontare avidamente le ore, muri sempre più sottili, sempre meno rassicuranti, tra te e l'orrido suono di quella cazzo di sveglia. altri calcoli: domani, faccia decostruita, occhi vacui, stato mentale vicino all'incapacità di intendere e volere, un'ebetudine meccanica a bilanciare l'iperattività presente.
verso la fine arriva la fame; il corpo, a cui per motivi inesplicabili è vietato riposare, deve bruciare qualche cosa per evitare lo sfinimento, specie se di giorno ti abbrutisci di fatica.e la scelta: dominare il dolore allo stomaco e dunque chiudere finalmente gli occhi, o calmarlo, botta di energia e nuova iperattività. c'è una terza scelta, la più interessante e rischiosa (nel caso si avesse bisogno di lucidità nelle ore di luce) uscire a vagare nel vento tra i rifiuti, o continuare a fumare quindi a fare. in questa terza scelta, c'è di rassicurante la totale scomparsa del domani. alla fine ti troverai fuori dalla baracca, sconcertato dal sorgere del sole, che ormai avevi infilato nella categoria dell'assolutamente impossibile. 
detto in altre più sagge parole, 'che danno l'insonnia però che figata'.

sabato 5 febbraio 2011

2

lolita

è da un pezzo che lo so, tra poco dovrei avviarmi al lavoro. anzi, a dirla tutta, a dire proprio la verità, dovrei esserci in questo istante, lì a scavare tra i rifiuti; a quanto pare ieri è emersa una vena di latte in polvere.
invece do un altro morso alla mia banana e volto la pagina. quante ore sono che mi dico prossimo capoverso basta, arrivo al punto e basta, finisco la frase e basta?
vado avanti.
era entrata nel mio mondo, nell' umbratile e umorosa Humbertlandia, con impudente curiosità; lo aveva esplorato con un'alzata di spalle di divertito disgusto; e ora mi sembrava pronta a lasciarlo, mossa da qualcosa di molto simile al puro e semplice ribrezzo.
lo stile affascina, ma non bisogna crederci troppo. avevo cominciato 'ada o ardore' sempre ammesso che si chiamasse così, e l'ho dovuto abbandonare nel giro di una trentina di pagine. il prezioso linguaggio e i giochi di parole che si accettano da una mente torbida non te li aspetti in un libro che parla di... di? non ricordo, ero distratta, quel romanzo non mi piaceva.
mentre lolita. oh, lolita.
la prima volta, mi stravolse la mente. maledetta immaginazione impressionabile. finii per fare cose che non volevo fare, arrabbiarmi, enunciare affermazioni trascurabili, ferire gente a caso. sulle menti semplici la parola ha un valore magico - sacrale, pare. e così fu allora, per me; non ero abbastanza sveglia per ingaggiare duello con humbert o con l'autore, mi lasciai convincere, ebbi fiducia.
ritrovarsi in mano questo libro in un giorno di nebbia, di quelli in cui ogni catasta di immondizia sembra nascondere un amico e viceversa, mi è sembrato un dono o una maledizione. l'ho tenuto lì per un po' ci giravo intorno, chiedendomi 'dovrò leggerlo di nuovo, visto com'è andata l'ultima volta?'
la voglia è sempre più forte delle paure.

giovedì 27 gennaio 2011

1

here we go (again. and again. and again and again and again)

spostiamo in là la scatola di cornflakes, occhio che va a finire nel frigo rotto, e chi può mai sapere cosa succederà, se finisce nel frigo rotto, un'implosione? il bel sole di oggi splende su tutti i pori di tutti quanti regalando un'allegria intensa, subito spenta dal vento gelido e tagliente. occhio, di là ho visto dei rottami arrugginiti, forse ex macchinari agricoli a riposo.
ne abbiamo parlato a lungo. tutti seduti in cerchio, che fumavamo. lineette grigie si snodavano sonnacchiose fuori dalle braci rosse delle sigarette; se le guardavi potevi agevolmente comprendere l'andamento generale della conversazione. stavamo tutti zitti, e quelle dritte e tranquille quasi fino al soffitto, come fili a piombo, immote. ci agitavamo, ci davamo sulle voci, gesticolavamo infocandoci; ed eccole ingarbugliarsi, appiattirsi legarsi le une con le altre. forse avrei potuto accorgermene da solo, di come andava la conversazione, anche senza fili di fumo, epperò li considero una metafora reale della realtà, molto poetica, dunque ho voluto esprimermi così, l'ho fatto, e voi ora non potete farci nulla. nulla! nulla di nulla.
mi tirano dei paraorecchi laceri sulla nuca. finchè è roba morbida, va bene. sembrano piuttosto
impazienti dinanzi al loro turno, massa di idioti, ma ora tocca a me. una vecchietta scuote la testa, ricominciando a rovistare in un mucchio di bottiglie di plastica vuote.
cosa stavo dicendo?